Il paesaggio delle crete

Descrizione

Su quelle piagge nude i buoi in questi giorni autunnali sono tutti all’aperto, intenti al lavoro: diecine e diecine di coppie, uscite dalle stalle di tutti i poderi, si vedono di quassù arare tutte insieme, tutte nello stesso modo, ciascuna entro quel pezzettino di terra che è il suo cómpito della giornata. […] E poi non tutte le tinte che i buoi vi distendono si rivelano appena uscite dal pennello: alcune, come certe vernici delle maioliche, hanno bisogno del caldo per venir fuori; solo quando arriverà la primavera si vedrà quali sono i campi ai quali i buoi hanno dato il rosso sanguigno dei trifogli […] e anche questa sarà una tinta fallace e cangiante. A vederli lavorar da quest’altura tutti insieme ma ciascuno dentro il suo campo, non ci si accorge neanche che si muovono. Questo loro muoversi è riposante come una immobilità: se il tempo potesse arrestarsi in questo istante, si sente che l’eternità sarebbe facile e senza noia.
Piero Calamandrei, Inventario della casa di campagna, 1941
La terra senza dolcezza d’alberi, la terra arida / che rompe sotto Siena il suo mareggiare morto / e incresta in lontananza / (inganno o verità / miraggio o evidenza – / insidia a lungo la mente / una tortura di dilemma) sperdute torri, sperdute rocche / è un luogo non posseduto dal senso, una plaga diversa / che lascia transitare i pensieri / però non li trattiene, non opera come ricordo, ma come ansia. // Inganno o verità, miraggio o evidenza – / Smarriti ne seguivano i lineamenti / con la testa rialzata sopra i quaderni / trasmettendosi oscura una domanda / e un indecifrato avvertimento i miei compagni di banco. // Inganno o verità, miraggio o evidenza – / sarebbe poi negli anni / tornata spesso la mente al suo non sciolto enigma. / E nel sangue la febbre, / nella febbre la fiamma / d’un’aspettazione incolmabile – ne sai niente?
Mario Luzi, Al fuoco della controversia, 1978

L’eredità di un braccio di mare stretto ma molto profondo, un antico bacino pliocenico, è la matrice del paesaggio che si apre una volta superato il ponte sull’Arbia. Una successione di colline dalle forme arrotondate di modesta estensione e rilievo, inserite nella trama di un reticolo idrografico denso e dendritico è la geomorfologia risultante da depositi argilloso-limosi risalenti a milioni di anni fa, da cui continuano ad emergere resti fossili di molluschi marini, diversi per genere e grandezza. Un paesaggio modellato da un costante processo di erosione, tanto semplice nei suoi motivi quanto articolato e sorprendente nelle sue manifestazioni.
La terra di quelle che la toponomastica locale chiama crete, dalla loro composizione materica assume continuamente nuovi colori. Il grigio delle stoppie vira nei toni dell’azzurro dell’argilla dopo l’aratura, il verde secco dei poggi a prato diventa cupo, quasi violaceo, accostato al terreno preparato per la semina. Alcune colorazioni, poi, si rivelano solo in determinate stagioni, con l’alternanza delle fasi di crescita, come il verde tenero del grano nuovo in primavera che vira progressivamente al fulvo delle spighe mature o la patina bianca inconfondibile delle crete di Leonina. Il salgemma e il gesso contenuti al loro interno sono gli elementi che conferiscono l’aspetto lunare a quelle che, proprio per questo, sono chiamate ‘biancane’. L’acqua piovana, penetrando nei sedimenti, discioglie i sali contenuti che ritornano in superficie in soluzione e che il successivo irraggiamento solare e la conseguente evaporazione tende a fissare in superficie. Prolungati periodi siccitosi con intenso soleggiamento, imprimono, in particolare sul lato meridionale fianchi le tipiche fessurazioni poligonali a rete. Sono proprio tali sali assieme al clima semiarido e siccitoso i corresponsabili della scarsità di vegetazione arborea e della quasi totale assenza di copertura vegetale delle biancane ove si affermano poche specie ed alcuni endemismi. Iconemi di questo paesaggio sono i laghetti artificiali, detti gore nel dialetto locale. Trattasi di riserve irrigue e punti di abbeveraggio del bestiame, di dimensione e forme diverse, talvolta naturaliformi, come nei pressi di Leonina, ma più spesso dalla forma tipicamente circolare dal raggio di pochi metri e sovente collocati in prossimità del podere o della stalla. Sono isole di biodiversità grazie alla vegetazione igrofila e palustre e l’avifauna di cui sono gli habitat, che arricchiscono di valori naturalistici la matrice agricola omogenea dei seminativi.
Biancane e calanchi costituiscono elemento morfologico ricorrente e dominante nell’area che, fin dall’epoca medievale, era nota come il deserto di Accona e che ormai, in vasta parte livellato, è permanente solo come relitto a Leonina. Sulle morfologie rimodellate e addolcite, ancorché spesso bruscamente interrotte da spettacolari fenomeni erosivi, si adagiano seminativi nudi a maglia medio-ampia, che la meccanizzazione delle lavorazioni agricole ha, in parte, semplificato ed esteso con la rimozione degli elementi della micro-rete di scoli, resi non più necessari dall’approfondimento delle lavorazioni che ha permesso l’aumento della ritenuta d’acqua del terreno. Alla meccanizzazione agraria è imputabile anche l’eliminazione delle tessere di coltivi promiscui che storicamente interrompevano la continuità dei seminativi estensivi. Una tessera isolata e recintata di coltura arborea promiscua di oliveto-vigneto, è ravvisabile subito a nord di Vescona, frammento relittuale del paesaggio agrario tradizionale.
È il paesaggio del latifondo a mezzadria, coltivato quasi integralmente a cereali e destinato al pascolo, con una trama di insediamento prevalentemente di carattere rurale, rada, sparsa come la viabilità che lo innerva. Nella matrice agraria omogenea di seminativi e pascoli, permangono, piccoli lembi relitti di querceto misto, spesso aventi valenza di tartufaie, come tessere isolate fra gli agroecosistemi. Altre formazioni forestali lineari si attestano tipicamente lungo gli impluvi. Sono come incursioni in forma di lingue, macchie e isole, nel tessuto omogeneo dei coltivi, tanto che sono chiamate banditelle. Interrompono orizzonti uniformi, estremamente ampi ed estesi, insieme a piccole corone di colture legnose poste attorno ai nuclei edilizi rurali, alle siepi arbustive e arboree che segnano il confine degli appezzamenti, ai filari di cipressi, che si stagliano anche isolati, agli incroci stradali, presso le abitazioni ed in mezzo ai campi, a segnarne il confine. Al colmo dei poggi o dei crinali secondari, si ancorano le ville-fattoria collegate ai centri urbani principali sorti in epoca medievale lungo il percorso-matrice che decorre sul fondovalle dell’Arbia. Parallela a tale strada, ove si attestano importanti complessi religiosi, ospedali, stazioni di posta, decorre una viabilità di crinale connessa al podere ed agli annessi produttivi, tali strade si raccordano a mezzo di una viabilità secondaria di contro crinale, secondo l’ordine tipico impresso all’insediamento rurale da un appoderamento estensivo con concentrazioni fondiarie molto rade.